Emigranti e immigrati - Gravago

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EMIGRAZIONE/IMMIGRAZIONE
EMIGRAZIONE E IMMIGRAZIONE







Uno dei fatti salienti che ha caratterizzato negativamente l'andamento demografico della Valceno e di tutto l'Appennino parmense, a partire dal secondo dopoguerra, riguarda soprattutto l'emigrazione. Il fenomeno, purtroppo, è ancora in atto: continua inesorabilmente il calo degli abitanti anche in questi anni.
Qualche timido segnale controcorrente è l'immigrazione, fatto recente dei nostri paesi, testimonianza di vita nuova tra i monti, che fa ben sperare.  A Noveglia e a Monastero, ad esempio, come a Venezia,  sono arrivate,  negli ultimi anni, diverse nuove famiglie, ciascuna con una sua “storia”.
Lo spopolamento, avvenuto  soprattutto nell'ultima metà del secolo scorso, ha portato molte persone all'estero, soprattutto negli Stati Uniti, in Canada, in Inghilterra, in Svizzera e in Francia. Altri non se la sono sentiti di emigrare così lontani ed hanno preferito spostarsi in cerca di lavoro a Parma, Milano, Modena, Torino o in altre città del nord.
Sia chi è emigrato all'estero sia chi è sceso dalla montagna alla città non ha mai dimenticato il paese d'origine, una manciata di case in mezzo al verde della montagna, la pace, rotta solo dal rintocco delle campane, i campi, i boschi, i torrenti che sfociano nel Noveglia, l'odore del muschio e dei licheni, del ginepro e dell'erba tagliata.
Ci sono poi degli appuntamenti nella vita sociale e religiosa  della comunità che sono un richiamo per tutti coloro che sono andati a vivere altrove, appuntamenti ai quali nessuno vorrebbe mancare perché pieni di ricordi e di nostalgia. Si tratta delle sagre, delle feste parrocchiali e degli eventi estivi, appositamente programmati per gli emigranti, come, ad esempio, la festa sul monte Barigazzo (organizzata dal "Gruppo Monte Barigazzo" di Tosca) tra aria purissima, splendidi panorami e secolari faggete... o quella di Bardi (organizzata dal Comune, in collaborazione con le varie associazioni di volontariato locali), la «Festa dell’emigrante e delle genti della Valceno», che è diventata un appuntamento fisso da oltre trent'anni.
Straordinaria è sempre la partecipazione, accanto agli emigranti che tornano,  di residenti, turisti e anche di stranieri.
I nostri emigranti andarono a cercare fortuna soprattutto in Inghilterra, puntando da subito sulla ristorazione, settore che gli inglesi delegavano volentieri per dedicarsi a più nobili attività. Oggi tornano, soprattutto per turismo, ma spesso anche per affari, perché con i loro risparmi possono permettersi di ristrutturare le vecchie case di famiglia o comprarne di nuove, senza dimenticare così le loro radici. Il paesaggio della Val Noveglia vede, infatti, accanto ad edifici fatiscenti, ormai a volte ridotte a ruderi, tante abitazioni “rimesse a nuovo”, ma, purtroppo, “vive” quasi soltanto nel periodo estivo.
Per fortuna, gli emigranti che si sono trasferiti nella “bassa” o in città italiane, tornano più spesso e, nei week end, diverse finestre chiuse si riaprono. Ma soprattutto “i nuovi arrivati”, immigrati  recentemente nella nostra valle,  e stabilmente residenti, possono contribuire, accanto ai nativi, a ridarle “vita nuova”.







      
UNA VITA A LONDRA,
MA ORGOGLIOSO DELLE MIE RADICI...
(Vito Fulgoni)

Sono nato a Cabino. Avevo 6 mesi quando la mia famiglia si è trasferita ai Bergazzi, dove ho vissuto fino a 14 anni.
Poi siamo emigrati a Londra, uno dei luoghi preferiti da coloro che, alla ricerca di una vita migliore, abbandonavano l’alta Valceno.
Come molti gravagotti, anche la mia famiglia,  dopo la guerra, fu “colpita” da questa “febbre da emigrazione”, che era come un’influenza, una “pandemia” che ti spingeva a lasciare la montagna. Dall'estero arrivavano notizie che per noi contadini erano come una calamita: i marciapiedi di Londra erano ricoperti di oro! Mio padre riuscì ad ottenere un permesso di lavoro e partì per primo.  Andò a Londra. Poi tutta la famiglia lo seguì. Un lungo viaggio in treno e, per la prima volta per noi, su un battello, in mare.
Arrivati sul Tamigi, ci sistemammo alla bell’e meglio, felici. Ricordo che, il primo giorno, mi alzai molto presto da letto: il nostro appartamento era al terzo piano e,  guardando fuori, vedevo tutti i tetti coperti da foschia... Improvvisamente fui colpito da una grande malinconia, nonostante fossi lì con la  mia famiglia. Poi, poco alla volta, mi adattai. Abitavo nel centro di Londra, nel Soho, e lì era come essere in Italia, pieno zeppo di Italiani! Questo mi ha aiutato ad integrarmi. Poi mi sono sposato con una scozzese e abbiamo avuto una figlia, una grandissima gioia.
A Londra ho organizzato diverse feste, al fine di raccogliere fondi per le necessità delle nostre chiese. L’aiuto che mi hanno dato i gravagotti, dimostrando un grande attaccamento alla terra d’origine, è stato, a dir poco, ammirevole. A queste feste ha partecipato anche il nostro don Luigi Brigati.
Organizzare i “dinner&dance” era molto impegnativo. Anzitutto si prenotava la sala,  in questi casi una scuola ben attrezzata, dove si potevano accommodare  più di 350 persone. Poi noi “facevamo cucina” (dall'antipasto... al dolce e al caffè) per servire in breve tempo, onde lasciare molto spazio  al ballo.  Si gestiva il bar e il servizio al tavolo. Collaboravano tutti, e Maria era la mia spalla. Un anno anche mia moglie, figlia, cognata e nipote fecero le cameriere! Ma prima si dovevano vendere i biglietti (ho persino avuto un grosso aiuto da amiche non di Gravago!). In ogni festa si arrivava sulle 350 prenotazioni, raccogliendo diverse migliaia di sterline. I “dinner&dance” sono stati un grande successo. E, ripeto, la collaborazione dei miei amici gravagotti-inglesi è stata indispensabile: senza di loro non ci sarei mai riuscito... Don Luigi lo può confermare.

Aprendo un’altra pagina della mia vita, mi  preme ricordare che ai Bergazzi sono tornato parecchie volte, d’estate, con i miei fratelli, che purtroppo non ci sono più. Abbiamo ristutturato la casa, che si trova vicino al B&B Ca’ del Lupo.  I miei nipoti e mia figlia, in particolare, la stanno godendo. Questo mi  fa molto piacere.
Gravago... le mie radici! Ne sono molto orgoglioso. Per me questo è ancora il “Paradiso  terrestre”.
Mi piacerebbe che fosse valorizzata la nostra storia, che ci ha lasciato tante testimonianze: il Castello, Monastero, Pieve, la Caminata...
Bisognerebbe preparare un PROGETTO  per il futuro di Gravago... partendo dall’illustre nostro passato!  
Chiudendo queste righe, vorrei invitare i nostri gravagotti  a ripensare seriamente a questo progetto,  secondo me realizzabile, e spero tanto che ci sia qualcuno disposto ad accoglierlo.
Io, se posso fare qualcosa per la nostra “Terra dei Conti Landi”, ci sono sempre! (Vito Fulgoni)


LONDRA - Un momento di un Dinner&Dance
(Foto di Vito Fulgoni)





EMIGRARE E VIVERE A NEW YORK...
CON GRAVAGO NEL CUORE
(Marisa Pighi)

Gravago, il paese più bello del mondo!  I miei ricordi di Gravago sono belli, sono tanti, sono troppi. La memoria si concentra su Monastero, dove, con i miei genitori e mia sorella mi trasferii nel lontano 1958, quando avevo nove anni, dal vicino Predario che mi aveva visto nascere.
Monastero ci accolse a braccia aperte. Ricordo i "prati" di Monastero, argentati di rugiada prima che il tiepido sole s'affacciasse dal balcone dell'arenaria che sovrasta e protegge le case.
Ricordo la mia scuola a Monastero e, un particolare,  che, abitando a pochi passi dalla scuola, nei giorni di abbondanti nevicate, ero l'unica alunna -con mio disappunto- a raggiungere la scuola! In classe, solo io e la cara maestra Giustina, che mi lasciava uscire a mezzogiorno invece di trattenermi fino al pomeriggio, come avrei desiderato. Sono ancora commossa rievocando la magia di quelle sere natalizie, quando, timidamente, infilavo la lettera di auguri e di promesse sotto il piatto di mio papà che leggeva a voce alta e subito mi regalava una bella cioccolata, mentre mia mamma cuoceva e condiva la pasta fatta in casa con "ar savù d' nuse".Ricordo le calde giornate d’estate, quando io e la mia amica Ida, nel primo pomeriggio, giocavamo a fare le mamme, mentre i nostri genitori riposavano un poco, prima di ritornare al duro lavoro dei campi. Voglio bene a Monastero, ripensando alla mia gioventù serena e spensierata, trascorsa all’ombra del campanile e della nostra bella chiesa.
Penso, con nostalgia, in particolare, alle Sante Messe della domenica, che erano due, una alle otto e una alle undici. Quattro erano i rintocchi gioiosi delle campane a richiamare gli  allora numerosi abitanti di Gravago a ciascuna Messa.  
Alle fine della “Messa grande” (quella delle 11), c’era sempre qualcuno che, nel sagrato, con voce imperiosa, annunciava la vendita di galline o conigli, per darne poi il ricavato alla chiesa.
Voglio chiudere questi ricordi con un pensiero scritto a Monastero il 6 agosto 2012, intitolato “Nostalgia”.
Dopo una breve vacanza passata nel mio caro Monastero, oggi riparto e torno in America. Nell’angolo dove prima sorgeva l’ippocastano mi fermo, per dare l’addio alla mia casa che mi guarda… Le finestre mute piangono e dalle persiane chiuse mi sembra sgorghino lacrime che mi dicono:  “Arrivederci, torna presto!”.  (Marisa Pighi)







IL BAULE DEI RICORDI
(Vilma Ricci)

Non posso che essere grata ai miei avi per aver faticosamente conseguito un relativo benessere in patria ed avere così evitato di vivere il dramma dell’emigrazione. Diversamente, non sarei nemmeno venuta al mondo, in quanto i miei genitori difficilmente si sarebbero incontrati.
Tuttavia il mio nonno paterno Ettore Ricci, già sposato con Maria Bertorelli e padre del piccolo Marino, nel 1913 fu costretto ad emigrare da Monastero di Gravago a New York per circa un anno, per realizzare in fretta il denaro necessario a concludere i lavori di ripristino della casa coniugale a Pieve di Gravago.
Ettore, con l’aiuto di suoi conoscenti, trova presto lavoro come inserviente presso l’Hotel Knikerbooker e pensa che con il salario e le generose mance potrebbe mantenere il suo piccolo nucleo familiare nel Nuovo Mondo e magari in seguito intraprendere un’attività in proprio, come hanno fatto tanti suoi compaesani. Scrive così alla moglie, proponendole di raggiungerlo in nave col piccolo Marino. Maria risponde che è d’accordo, progettando già in cuor suo una nuova vita, ma … la lettera non sarà mai spedita. La suocera Emma, timorosa di perdere la collaborazione della giovane nuora, invece di portarla all’ufficio postale, la distrugge. In mancanza di altri strumenti di comunicazione, Ettore interpreta quel lungo silenzio come un diniego. Prepara uno splendido baule con dentro ogni sorta di regali: stoffe pregiate per l’attività di sartoria della moglie, strumenti d’uso per la casa, utensili per il suo lavoro e  prende di nuovo il piroscafo verso l’Italia, con il gruzzolo necessario per completare i lavori della casa.
E’ difficile immaginare la gioia nel rivedersi e il rammarico per il progetto naufragato. Del resto la breve vita di Ettore sarà ugualmente ricca di soddisfazioni sia sul lavoro che in famiglia. Dopo pochi anni nascerà il secondo figlio Luigi, detto Gino, mio padre, che insieme a Marino collaborerà attivamente con lui in ogni settore della sua attività, dalla falegnameria alla meccanica. Sarebbe inutile e banale punteggiare le esperienze esistenziali con dei “se …” e dei “ma …”. Perciò a me, che sono arrivata molto tempo dopo, non resta che dire che sono felice di questo ritorno a casa, perché sia Ettore che Gino hanno lavorato intensamente per tutta la vita con dedizione e amore per la loro comunità.
A me rimane un vecchio baule di cui non ho mai potuto vedere il contenuto originario. Ma lo guardo con affetto e cerco di immaginare lo stupore e la gioia negli occhi di mia nonna nel rivedere il suo sposo e i doni meravigliosi che le portava dalla lontana America. (Vilma Ricci)

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E in America Vilma è tornata col marito Giovanni Grilli.
Ci hanno lasciato una coinvolgente testimonianza nel libro "CARTOLINE DALL'AMERICA"  (pubblicato nel maggio 2018).
L’accostamento immagini-racconti e le riflessioni storiche,  in queste cartoline, sono sempre significativi.  Esperienze documentate, ma soprattutto vissute intensamente. Si percepiscono in modo chiaro, nei testi e nelle foto,  sia la  sentita partecipazione agli eventi di Vilma e Giovanni sia le forti emozioni che hanno provato.  Uno spaccato dell’America autentica...



Scrive Vilma nella prefazione del libro:
"Per quasi trent'anni Giovanni ed io abbiamo studiato, esplorato e fotografato l'America del Nord, con uno sguardo di particolare interesse rivolto ai popoli nativi del sudovest, autentici custodi di stili di vita e culture originarie.
Il cinema, la letteratura, l'arte in genere ci hanno fornito spunti per una ricerca costante e sempre fuori da percorsi già tracciati, nei vasti territori della provincia, Anche nelle metropoli esistono strade alternative, Basta cercarle, magari la sera sulle mappe stradali nella luce debole di una stanza di motel.
Giovanni ha coltivato per tutta la sua vita un interesse au tentico per i deboli, i marginali, gli umili, e insieme abbiamo tentato di condividerlo anche sulle pagine di "dalla parte del torto" Lo ringrazio ogni giorno per aver guidato per miglia e miglia, instancabile, attraverso questa America, curioso e felice ad ogni nuovo incontro. E stato per me un grande regalo, che ora posso nuovamente condividere con questa raccolta di racconti, o meglio di 'Cartoline', destinate a chi avrà la gentilezza di riceverle'.






  Una poesia  
      
EMIGRANTE

Era Maggio di tanti anni fa.
Din, don, dan
chissà perché le campane a primavera
danno sempre più allegria.
Così pensava intanto che alla sera
al rosario se ne andava. Un po’ per fede
un po’ per guardare ragazze
con gli occhi scuri e la bocca di ciliegia.
Tornava fischiettando dopo aver rubato
un bacio fra un cespuglio di rose e una gaggia.
Vent’anni e nel cuore il desiderio
di fuggire lontano dalla povertà.
Din, don, dan
ascoltava le campane là nel porto
mentre pregava la Madonna
perché tenesse calme le onde.
Ha trovato un’altra lingua diversa dalla sua
e un’altra bocca di ciliegia
per fargli compagnia.
Ha passato primavere e priimavere
ad annaffiare rose
e a insegnare il rosario a figli e nipotini.
A volte guardava in lontananza
e gli sembrava di vedere una gaggìa.
Ma ora i suoi occhi sono stanchi ed appannati
e passa le giornate seduto in riva al mare.
Mentre bianchi fiori di schiuma
davanti ai suoi piedi si vengono a fermare.

Valentina Selene Medici








  Una poesia  
di Mauro Barbuti
      
EMIGRANTI

Lasciarono il loro paese in fretta,
senza guardarsi indietro,
in cerca di una terra promessa.
Con valigie di cartone,
poca roba dentro,
ed una preghiera in mente,
recitata ogni sera,
devotamente,
di fronte a un santino.
Sbarcarono in un altro mondo,
pieno di strade nuove, pensieri,
speranze e facce sconosciute,
che passavano davanti agli occhi
come il vento la brezza.
E quelli  che hanno la speranza
o meglio la certezza,
di  ritornare,
per ritrovare la pace in se stessi,
un giorno per caso,
ritorneranno a Gravago.
Verranno con gli occhi grevi,
pieni di tristezza e ricordi,
forse a primavera,
quando I giorni si allungano,
e di notte si accendono nel cielo,
le stelle,
Cosi chiare e belle.
Faranno sogni mai fatti,
cosi luminosi e sereni, tinti di oro fuso.
Cercheranno tesori nascosti,
tra sentieri  chiusi,
nei boschi,
e case ormai in disuso.
Case fatte di sassi
che parlano di un passato duro,
di fatica e sforzi insopportabili.
E alla fine di una vita,
sorrideranno gli angeli
dalle ali bianche,  
mentre gli occhi degli emigranti
si chiuderanno felici,
e stanchi.

Mauro Barbuti





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