Persone e personaggi - Gravago

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STORIA
PERSONE E PERSONAGGI...



Alcune INFO
sui "gravagotti"
(noti e meno noti)
di ieri e di oggi





...negli Anni Sessanta


Possiamo affermare che, negli Anni Sessanta,  la comunità di Gravago era, nel complesso, autosufficiente, quasi fossimo in un feudo medioevale.  
Garantivano i vari servizi di prima necessità:  
due ostetriche (a Monastero e Roncazzuolo), tre medici (i dottori Quattromini, Marchini e Schittoni, che, naturalmente, venivano da Bardi a cavallo o con la campagnola), il veterinario (il dott. Fumagalli, prima il padre, poi il figlio Aldo), il postino (Paolo Caffarelli) con l’ufficio postale a Noveglia, i mugnai sulla Rosta  (Brtulinu e Vigèin, fratelli, e Ballaràn), gli stagnini (Maiotto di Noveglia, e Giovanni “d’ar magnàn” di Michelotti), le sarte (a Noveglia Valentina, la moglie di Maiotto, a Brè la Maria di Brtulèin, a Cerreto la Maria Speroni,  a Sbuttoni “la sartùra d’carnuval”,  la Gigëtta di Përëttu, specializzata nel confezionare i costumi di carnevale).  
Non mancavano di certo i falegnami e i muratori o il fabbro. Importanti erano i mulattieri, che trasportavano, sul dorso dei muli, in luoghi più facilmente raggiungibili, la legna tagliata nei boschi, una delle risorse del territorio. Poi questa veniva caricata sul “gippón” di Pasquinòn (uno dei tanti autocarri, lasciati dagli americani, dopo la guerra) e portata a Noveglia o nei dintorni. Ricordiamo che, negli anni Cinquanta, I Pighi trasportavano legname con il gippone e, per superare dislivelli, si servivano, come tutti i boscaioli, di una teleferica...
Interessante ricordare anche le figure delle “guaritrici” (“cùlle ch sëgna i mà”), che “segnavano i mali” (storte, mal di stomaco, fuoco di S. Antonio, erisipela ecc.).  Attraverso un rituale particolare, fatto di “segni strani”, si avvicinavano alla persona malata e, quasi sempre, la facevano guarire. Per esempio, per medicare e far guarire la “véna tòrta” (slogatura della caviglia),  la guaritrice prendeva in mano una sugna rancida, con cui massaggiava la parte dolente, che poi lavava con acqua, recitando la seguente formula magica: “Acqua viva, la zònza mórta, pórta via sta véina tòrta…”. Seguiva un segno di croce su quella parte della gamba e la recitazione di preghiere. La formula pronunciata doveva rimanere segreta e non trasmessa ad altri, pena, per la  guaritrice, la perdita di tali poteri. E solo poco prima di morire essa poteva comunicarla. La trasmissione di  poteri ad altri avveniva solo in occasione del battesimo, quando, ad esempio, veniva dato in mano a chi avrebbe curato l’erisipela (“risipla”) una foglia di rosa e a chi avrebbe curato il fuoco di Sant’Antonio una foglia di rovo (“föia d’mura”).
I bar e i negozi di alimentari di Bré (di Bertorelli) e Noveglia (di Battaglia e di Costa) erano punti di ritrovo per gli acquisti, ma anche luoghi di incontro per scambiare quattro chiacchiere.
Le scuole elementari di Monastero, Brè e  Pianelleto, Cerreto/Venezia, ben dislocate sul territorio, in un periodo in cui ci si spostava quasi soltanto a piedi,  garantivano un servizio essenziale. Tra le maestre, si ricordano, in particolare, Tina Corsini (abitava a Noceto di Gravago) a Brè e Giustina Belli (di Bardi) a Monastero, ma anche le insegnanti, in genere annuali, a Venezia e Cerreto, o le supplenti hanno lasciato un buon ricordo nella popolazione.
Un po’ “temute”, anche se stimate, erano le guardie comunali Monti e Palombi, quando arrivavano nelle varie ville di Gravago a controllare se erano state pagate le tasse dovute su ogni capo di bestiame.
Tra i personaggi di spicco, il primo posto spetta al parroco don Luigi Squeri, di cui si racconta nella parte dedicata ai Parroci di Gravago. Originario di Bedonia. Era un punto di riferimento sicuro un po’ per tutti. E a lui si rivolgevano  persone di ogni età per chiedere i consigli più disparati. Non essendoci, neppure a Bardi, una biblioteca, dove prendere in prestito libri da leggere, era  lui stesso che passava ai parrocchiani  le opere che costituivano la sua personale libreria. E,  se qualcuno non partecipava alla messa domenicale, veniva da lui amorevolmente (ma con cipiglio) “sgridato”....(Ida Albianti)





Giuseppe Morbiani, soldato di Napoleone

By Giuseppe Beppe Conti

Giuseppe Morbiani nacque
a Gravago di Bardi
il 30 settembre del 1780;
come tanti nostri concittadini,
molto giovane,  emigrò in Francia
arruolandosi  nell’esercito
di Napoleone Bonaparte ,
seguendo l’Imperatore
nelle  campagne militari.

La Storia/Leggenda:
La battaglia di Aspern-Essling – Austria – (22 maggio 1809)
La battaglia vide lo scontro fra l’esercito francese e quello austriaco nel contesto delle guerre napoleoniche nell’ambito della Quinta coalizione. Al tempo della battaglia, Aspern era un comune non distante da Vienna.
Lo scontro rappresentò una sconfitta tattica per Napoleone; i suoi piani per attraversare il Danubio e infliggere una sconfitta decisiva all’esercito nemico non ebbero successo a causa soprattutto di difficoltà logistiche e l’imperatore fu costretto a ritirarsi abbandonando temporaneamente il terreno conquistato a nord del fiume, ma strategicamente vinse mantenendo il controllo dell’isola di Lobau e di Vienna. La prima preoccupazione dei francesi infatti fu quella di attraversare il Danubio. L’isola di Lobau, una delle molte che dividono il fiume in piccoli canali, fu scelta come punto di passaggio, effettuando le truppe francesi diligenti preparativi che culminarono con l’occupazione dell’isola nella notte tra il 19 maggio ed il 20. Il battaglione comandato da Massena era composto da una compagnia di granatieri, una di volteggiatori, le restanti 4 compagnie erano composte da fucilieri (o cacciatori per la fanteria leggera) che occupavano il centro della linea del battaglione, e per questa ragione venivano detti compagnie del centro. Tra le compagnie di fucilieri marciava anche la 56^ dove era arruolato il giovane Giuseppe Morbiani. I fucilieri si distinguevano dallo shako ben piantato in testa, indossavano inoltre divise blu scure con risvolti bianchi come i pantaloni, colletto rosso e polsini rossi.  Le truppe del Generale, Maresciallo dell’Impero Andrè Masséna attraversarono il fiume giusto in tempo per evitare che le avanguardie austriache prendessero il controllo della riva. I primi a lanciarsi all’assalto furono proprio i militi della 56 compagnia fucilieri e tra questi Giuseppe Morbiani che si gettò  in avanti, senza paura unitamente a Giovacchino Demaghanis, Bernardo Piscatori e Michele Cordievole. Durante il sanguinoso combattimento,  il nostro giovane fu colpito di striscio da un colpo di cannone che gli fracassò il braccio sinistro, l’arto, dopo questa tremenda deflagrazione, gli rimase attaccato alla spalla solo per poca pelle. Mentre i chirurghi militari stavano tentando di cauterizzare la grave ferita per fermare l’emorragia, un trombettiere annunciò il passaggio di Napoleone Bonaparte col suo seguito.
Morbiani, visto arrivare l’imperatore, si divincolò dai sanitari e, parandosi di fronte al cavallo di Bonaparte, si strappò il braccio sinistro stritolato e, gettandolo per aria, gridò “Vive l’Empereur”. l’imperatore si arrestò, sorpreso da questo gesto, scese da cavallo, si tolse il copricapo e, toccandogli le spalle, rispose: Bon jour, Baron de l’Empire. Il Morbiani, dopo le lunghe cure si riprese e tornò  se pur menomato, alla sua amata Val Noveglia  con una pensione che gli elargì il Governo Francese sino alla sua morte avvenuta, sempre a Gravago, il 19 novembre 1859.
(Giuseppe Beppe Conti)




Gino Ricci


 

16-06-2016







(Millo Caffagnini)
pubblicato da Beppe Conti su Valcenostoria.it
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Segue un "ricordo"  particolare
di Gino e della sua famiglia,
scritto dalla figlia Vilma,
(pubblicato nella sezione del sito  RACCONTI: "Il baule dei ricordi" )





Scaiasa...

 

22 febbraio 2015
Scaiasa, il cow-boy dall'animo gentile



Lo chiamavano Chiodi, il vecchio cow-boy. Scaiasa è il nome della famiglia, da chissà quando. Chiodi perché nella notte dei tempi ne son saltati fuori, di mestieri da chiodi. «Cioè, io sarei un Gasparini Mario», ma lo sanno in pochi. Faccia di vita, quest'uomo con il vento nei polmoni, classe 1951, figlio dei fiori nella terra dei faggi. Selvatico e dolce, Scaiasa lo troviamo al bar Mixage, seduto davanti al suo bianchino, in una mattina d'inverno inondata di luce. Ci racconta le favole felici della libertà in montagna dopo la guerra: cavalli cavalcati senza sella, bricconate, giornate a piedi in terra inseguendo sogni e fanciulle, l'epoca in cui ci si comincia a bucare per noia. «Mi davano del drogato per via dei capelloni. Ah si fa presto, di soldi non ne ho mai avuti, quindi solo sigarette». Lo tiene davanti come un amico, il pacchetto quotidiano di Ms, di cui finisce fino al filtro ogni sigaretta. Vale la premessa per scrivere di ogni cosa e di ogni persona, da queste parti: qui ci fu lo Stato Landi. Si batteva moneta. Si respira un'aria diversa, aperta e fina. La testa della gente riflette le dinamiche e i costumi di quei secoli andati.
Gravago non è un paese, è un mondo. Scaiasa è gravagotto di madre, borghigiano di padre. Come ogni cow-boy, anche se lui è più buttero, ha nel sangue la libertà e la radice di una terra. Forse per questo si è preso due cotte per due bandiere: i comunisti da ragazzo, Bossi qualche anno più tardi, facendo anche la «Guardia Padana» nella manifestazione sul Po del settembre 1996, venendo via con la delusione che provano gli uomini liberi entrando in orbita dei partiti. Come fai a star dentro un movimento politico parlamentare, se credi che i gravagotti siano un popolo? Anarchia e identità. E poi la gente grande fa fatica a infilarsi nelle strette caselle della storia; quand'era col suo gruppo di amici rossi lavorava come un bue, spesso andando in città per far qualche straordinario e portare a casa la pagnotta: «Noi di Bardi non conoscevamo neanche la parola sciopero, non l'avevamo mai sentita, ci chiamavano crumiri».
Ben altro si trova nel forziere di Scaiasa, il vaso di Pandora è cosa per bambini a confronto. «Gente di provincia» è una lunga briscola arrivata alla 186esima mano, come in ogni partita ci sono regole: carte sul banco aperte, carte in mano coperte. Scaiasa tiene tre carichi fra le dita, ci dice qualcosa ormai a sera dopo tanti bicchieri, ma le sue avventure è giusto che rimangano sue, tanto ce n'è da dire per un libro anche senza scrivere l'inscrivibile. A quindici anni ha cominciato a «cavalcare i cavalli come si deve, senza sella, domandoli». Capitava che andasse su per i monti, e appena ne trovasse uno libero, lo facesse suo. Ne ha fatte, prima che gli nevicasse sulla barba. «Certo poi venivano i proprietari e non gli faceva piacere...». Dice: «I cavalli sono come le donne, alcuni si fanno domare, altri no».
Il nonno Giacomo era un girovago. Veniva da Gravago e ha girato il mondo a piedi con l'armonica, la gironda e l'orchestrina. Tempi remoti degli orsanti – da Cavignaga – e dei tacabanda, da queste parti. Girovago, importante, i nativi lo pronunciano accentato sulla «a». Ne parliamo con un sole di febbraio che sembra maggio: «Non so ancora quale mestiere non ho fatto». Ha trasportato gasolio, fatto il boscaiolo (cerro, quercia, faggio, carpana, da ardere), il falegname, il carpentiere, persino nella casa natale di Giuseppe Verdi a Roncole». Quindici mesi di C.A.R. a L'Aquila, «non sapevo dove fosse, mi han detto qui in paese che era al Sud, pensavo di partire per il caldo e ho trovato il gelo. Ero un ribelle, non accettavo il militare. Ho passato dodici mesi d'inferno, gli ultimi tre meravigliosi». Per onestà e rispetto della parola data a Scaiasa, non raccontiamo né le marachelle dei primi, né le marachelle degli ultimi. Una volta hanno temuto di esser sbattuti dentro, lui fece ai suoi amici: «Non vi preoccupate, in cella si sta in cinque, son pratico, noi siamo in dieci, non ce la fanno». Fece poi il falegname «in città a Bardi». Ricorda: «Venivo a piedi fin qua – siamo a Noveglia – poi in corriera, alle sette del mattino. Dormivo a casa del padrone, Carlo Fulgoni. Senza esagerare, prendevo qualcosina. D'estate sui monti, si dava una mano a casa». Ormai uomo fatto, venne il tempo del circo, passione per la pelle di un indiano d'Appennino. «Allora una figlia femmina non poteva sposare un giostraio senza provocare scandalo e disonore per la famiglia», non si parla mica di tanti anni fa: «Erano considerati zingari, e noi montanari, come marocchini». Si girava scalzi, stando in case alte due metri nere di fumo. Stette tempo con il circo Robert's, non come artista ma come tuttofare, autista e divulgatore di manifesti, si dormiva nelle roulotte, «sveglia tardi, che vita». Ha nove cavalli, cinque bardigiani, tre pezzati e un puledrino. «Ero arrivato a trenta», ricorda. «Filippo Gozzi di Colorno per me è come un figlio cresciuto con la mia passione». Spesso in questa rubrica abbiamo cercato di salvare gli ultimi raggi di un tramonto, Scaiasa ha l'amore negli occhi. Non sappiamo e non sapremo mai se sia felice. La serenità che gli viene dal sole che ha al posto dell'anima, la dona agli altri. E' un gran figlio di questa valle traversa, libera, unica. (Stefano Rotta)





Gino Baccarini




21 luglio 2017

"L'ultima sentinella del Monte Barigazzo"

A 87 anni se n’è andato Gino Baccarini, agricoltore, boscaiolo, infaticabile membro dell’As Val Noveglia e generoso milite della Pubblica di Bardi, ma soprattutto “sentinella e punto di riferimento per chi andava al Monte Barigazzo”, come lo ha definito Don Luigi Brigati nella Messa di sabato scorso.
Al funerale, celebrato nella chiesa di Monastero, una grande folla si è stretta attorno ai parenti, ai figli Pietro e Maria e alla moglie Anellina che con Gino formava l’ultima famiglia rimasta a Pianelleto, a 1000 metri. Nell’ultima frazione prima della salita al Barigazzo abitavano diversi nuclei, in seguito sradicati per l’emigrazione. Solo i coniugi Baccarini non avevano reciso il loro legame con la terra né prima né dopo il raggiungimento della pensione. Attorno alla loro casa affacciata sulla Val Noveglia, curavano piante da frutto da cui Anellina traeva gustose marmellate e coltivavano un orto che produceva le famose patate di Pianelleto, considerate dai bardigiani le migliori in circolazione. Un altro “impegno” era accogliere chi veniva a trovarli: familiari, amici e gente di passaggio in cerca di funghi. Quell’altura per Gino era il migliore dei modi possibili, scelto definitivamente, dopo una breve parentesi in Svizzera e a Parigi. A Pianelleto Gino, nato a Lavacchielli, oggi borgo fantasma, aveva accettato di stabilirsi dopo una lunga “battaglia” con la fidanzata Anellina, al momento di decidere il domicilio matrimoniale. “Quando decidemmo di sposarci -raccontava agli amici- ci fu da discutere su dove fare il nido, perché io ero di Lavacchielli e lei di Pianelleto. Nessuno voleva lasciare la sua casa. Alla fine ha vinto lei e io sono venuto qui”.E sull’altura visse bene nonostante le nevicate copiose, che a volte li isolavano, ma “avevano sempre le scorte”. Del resto da giovane Gino era abituato ad andare a Bardi a piedi. Boschi e sentieri li conosceva bene e nella sua lunga vita è stato pronto a rispondere quando e dove ci fosse bisogno di intervenire per trasportare un malato, per l’organizzazione delle feste di Sant’Anna e per la preparazione della carbonaia.
“Ci ha fatto dono di grande conforto assumendosi servizio e amore per il prossimo” ha concluso il parroco don Brigati. Le tante persone presenti erano lì a testimoniarlo. (Millo Caffagnini)

Segue


Joseph Trombetti






Sulle carte geografiche, Gravago di Bardi é difficile da trovare quanto l’isola di Mompracen: eppure, molti buongustai americani conoscono il nome questa frazioncina sud-ovest di Parma quale patria di una dinastia di cuochi di cui ultimo, e più autorevole esponente, é Joseph Trombetti executive chef del "PLAZA” di New York.
Non si tratta di una vocazione isolata e — dice il segretario comunale Genco — conta circa. 4.500 abitanti, ma almeno altre 8.000 persone, nate qui, lavorano in diversi paesi, e, almeno la metà, in alberghi e ristoranti.
Ricorda la faccenda del sequestro alla ”Spaghetti House” di Londra? Due degli ostaggi erano “nostri”. In Gran Bretagna, quelli di Bardi si sono specializzati nel gestire tavole calde, ristoranti e friggitorie di di fish and chips, pesci e patate. Poi tornano al paese natio e si fanno la villa. D’estate, arrivano a centinaia . Anche i Trombetti seguono la stessa strada. Rosa Bertorelli, madre di Joseph vive qui oppure al Bronx, dove la figlia Rita ha un ristorante intitolato “Sorrento” (Parma gli americani la conoscono si e no per prosciutto e formaggio grana) “Noi siamo contadini - dice la signora - ma i miei la passione di far da mangiare l’hanno avuta sempre. Così mio zio cominciò a preparate banchetti per gli sposi a Bardi, poi andò in America, ebbe lavoro al “Waldorf Astoria”. “Chef?”. “No” - precisa, con modestia, la signora. Rosa - sapendo quale prestigio attribuisca quella qualifica, solo ysterman, cuoco che si occupai dì ostriche, gamberi e magari anche pesce”. Fin qui, una delle normali storie di emigranti..
Ma Giuseppe (ora Joseph) Trombetti é un personaggio diverso, facente parte di una élite, nel settore cucina che non ha, almeno per ora, riscontri in Italia: un manager che deve unire la fantasia e l’estro gastronomico dei cuohi di una volta, con le conoscenze tecniche indispensabili al dirigente attuale.
Joseph lasciò casa sua a 18 anni, seguendo i consigli dello zio. A 20 era assistente cuoco di “Mamma Rosa”, l’enorme ristorante (5.000 coperti) pseudo-italiano di Nuova. York, poi, dopo otto anni quale capo saucier, e cioè specializzato in salse-executive al “Plaza”. A 45 anni, oggi. Joseph dirige 112 persone, vende 90.000 pasti al mese a 5 ristoranti e a 12 sale per banchetti... capacità da 30 a 750 persone. nel palazzo fra la Quinta Strada e Central Park.
La pubblicità del Plaza lo presenta come un divo: “Conosce perfettamente quattro lingue e un numero ben più alto di cucine”. La difficoltà é quella di conciliare le giuste pretese di una clientela disposta a spendere 15 dollari per una bistecca e 70 a testa se si traila di un banchetto, con una organizzazione simile a quella di in convitto o di una caserma. “Cambiamo menù dei ristoranti una volta al mese”, dice Trombetti, “in base agli elaborati del computer”. Ogni “comanda” viene trascritta su scheda perforata, poi il calcolatore ci indica cosa è più richiesto. Si elimina il resto e si aggiunge quanto è il desiderio dei clienti; anche quelli codificati, suggeriscono. Siamo cosi riusciti a passare, in pochi anni, da  oltre 40 guarnizioni di verdure, a una decina... “. (Massimo Alberini)

 
Pubblicato da Giuseppe Beppe Conti
in "Valcenostoria"(20-08-2020) -
e





Grace Finelli

Grace Pantrini Finelli (la figlia di Tranquillo “L’Ambasciatore”)
Una bardigiana insegnante in Australia

QUI AUSTRALIA.
E' una bardigiana a dare lezioni di "scuola a distanza"
"Gazzetta di Parma"
(19-03-2020)

L'articolo, ripreso da Beppe Conti,
si può leggere
su Valcenostoria



Un'intervista a Grace


A Bardi è Graziella, in Australia è Grace. E' una bardigiana cosmopolita: è cresciuta fra la Svizzera e l'Australia ma non dimentica le sue radici. A Brisbane le capita di cucinare i tortelli. E poi, assicura, «parlo benissimo il dialetto di Bardi che mi ha insegnato mia nonna. E me piace parlarlu sempre quandu turno a' ca'».
  
Grace Finelli fa parte della “famiglia” degli strajè. La sua vita è dall'altra parte del mondo ma il cuore è sempre legato al «suo» Appennino. Alcuni angoli suggestivi sono diventati soggetti per un suo calendario personale.
Fa l'insegnante, Grace, in un liceo di Brisbane. Ma fino all'anno scorso il suo lavoro quotidiano era molto più originale e a modo suo affascinante. Insegnava via radio, ad alunni che non andavano in classe ma si mettevano all'apparecchio nelle loro case sparse negli spazi sconfinati dall'Australia più profonda. Posti che... tanto per dire, se serve una visita il medico di base arriva con un piccolo aereo attrezzato.
All'anagrafe lei è Graziella Pantrini, nata a Borgotaro nel 1957. A 19 anni si trasferisce in Australia e diventa Grace. Non più Pantrini ma Finelli, perché questo è il cognome del suo defunto marito, originario di Roma.
Grace è una lettrice del nostro sito, ogni tanto ha commentato qualche notizia, e ha accettato la proposta di parlare un po' di sé. «Mi mancano le montagne, qui in Australia ce ne sono poche!», risponde quando le chiediamo se senta la nostalgia della sua terra d'origine.
Da piccola Graziella abita con la nonna a Comune Soprano, frazione di Bardi. Ha cinque anni quando si trasferisce in Svizzera con la famiglia, perché il padre lavora nelle ambasciate («Era in archivio»). Prima Berna, poi vari anni a Ginevra e nel 1976 l'Australia. «Sono venuta con i miei genitori, mio padre venne trasferito da Ginevra a Perth, in Australia Occidentale, al Consolato d'Italia - spiega Graziella-Grace -. Abbiamo fatto il viaggio in nave con la “Galileo Galilei”: è durato 27 giorni».
Oggi gli aerei accorciano i tempi, ma i chilometri restano. E con Bardi resta vivo un amore a distanza: «Torno ogni anno, se posso, a trovare i miei genitori a Noveglia. Poi visito tante altre frazioni, dove ho ancora amici e parenti. Quella a me più cara si chiama Spiaggere, ora totalmente disabitata».
Dalle passeggiate nelle viuzze di quei paesini, fra il silenzio delle case e le piccole stalle trasformate magari in ricoveri per attrezzi, Graziella Pantrini ha ricavato una serie di foto per un calendario sulla Val Noveglia, intitolato «Cielo e sassi».
Scatti con cui porta a Brisbane angoli di Appennino. Magari al suo liceo. Le materie che insegna? «Francese, italiano, storia e geografia ma la mia passione è Special Education», cioè l'attività dedicata ai giovani portatori di handicap. Ma fino all'anno scorso Grace non insegnava in una scuola classica. La sua aula era grande dieci volte l'Italia e “incontrava” i suoi alunni solo alla radio, come quelle che in Italia usano le forze dell'ordine o i camionisti. Lavorava infatti per la Cairns School of Distance Education e si capisce che l'attività l'ha molto appassionata. «Si insegnava via radio (onde lunghe) a ragazzi che vivono in “Stations”, cioè in tenute di bestiame - ci scrive Grace -. Dalle 2mila vacche in su, proprietà grandi quanto l'Emilia-Romagna». Le persone che ci vivono «si spostano con elicotteri oppure piccoli aerei privati perché sono molto isolati nel “bush” australiano. Una mia studentessa è rimasta a mandare avanti una di queste proprietà con l'aiuto dei vaccari».
Graziella è una bardigiana cosmopolita, dicevamo, perché è legata alle sue radici ma è cresciuta all'estero. Da giovane ha deciso che sarebbe rimasta in Australia, anche quando la sua famiglia si è spostata di nuovo per lavoro. Potrebbe essere un esempio per i giovani? Andare all'estero, viaggiare, imparare le lingue e cercare opportunità “oltreconfine”: tutto questo è un tema di attualità, che non manca di far discutere. Le chiediamo: «E' difficile fare una scelta come la sua?». «Quasi tutti gli italiani che ho conosciuto qui si sono abituati benissimo - risponde Grace -. Ci sono molti giovani che vengono qui per rimanere. Il governo australiano manda avanti un'iniziativa: si viene qui e si lavora per 6 mesi in un posto e i 6 mesi seguenti in un altro. Se il rapporto dei datori di lavoro è buono, il visto viene rinnovato per i 12 mesi successivi, che però devono essere svolti a lavorare in un posto rurale, in qualche proprietà. Qui nel Queensland molti di loro vanno a raccogliere banane oppure mango. Alla fine dei due anni ti danno il visto da residente. Vedo che molti di questi ragazzi sono anche laureati ma mi dicono che l'Italia è u posto per chi il lavoro lo ha già. E per i giovani, niente».




Tranquillo Pantrini



Tranquillo Pantrini è un pensionato di Noveglia: ha 80 anni, vive in una casa fra le montagne del Bardigiano. In apparenza un pensionato qualunque, pronto ad accogliere gli ospiti con cordialità, tante chiacchiere e un bicchiere di bianco. In realtà da quelle chiacchiere emergono storie di una vita passata in giro per il mondo: autista per gli iraniani a Ginevra, poi addetto dei consolati d'Italia in Svizzera, Australia, Germania e Francia. Tranquillo era l'autista dello scià di Persia Reza Palhavi negli anni '60. Quando la gente sui giornali vedeva la moglie del presidente indonesiano Sukarno, Pantrini la portava in giro per l'Europa fra incontri importanti e bella vita. Nella «sua» macchina sono entrati l'Aga Khan, Bettino Craxi capo del governo e altri personaggi al centro della cronaca e della politica fra gli anni '70 e '90. Anche se il ricordo più bello è legato alla sua passione per le bocce, che lo ha portato ai Mondiali nel 1995.


Addio a Pantrini , l'«ambasciatore»
26 novembre 2016

Se ne è andato Tranquillo Pantrini, il celebre bardigiano che fu storico autista dello Scià di Persia. E' morto giovedì scorso, all’età di 82 anni, nella sua amatissima Noveglia, dove era conosciuto da tutti come «l’ambasciatore».
Quel soprannome, Pantrini, se lo vide affidare dopo aver lavorato per ben trent'anni in consolati e ambasciate italiane in vari Paesi, fra cui l’Europa e l’Australia, e dopo aver quindi assunto ruoli di grande rilievo in numerose nazioni del mondo. Ma nella storia di Tranquillo, come già anticipato, c’è un altro impiego che gli valse stima e celebrità: fu, infatti, l’autista dello scià di Persia, Reza Palhavi, negli anni '60. «Quando Reza Palhavi o i suoi famigliari raggiungevano Ginevra. - raccontò circa due anni fa il giornalista della Gazzetta di Parma, Andrea Violi, in un articolo dedicato proprio a Pantrini - Tranquillo era a loro disposizione. E se lo scià voleva mettersi al volante personalmente, autista e scorta non potevano far altro che seguirlo».
«Non mi ha mai parlato, né salutato – affermò, in quell’occasione, a proposito dello Scià - La moglie Farah Diba invece parlava e scherzava in francese, era splendida». Nella «sua» lussuosa auto, Pantrini portò in giro, per decenni, politici e vip, come, ad esempio, la bella moglie del presidente indonesiano Sukarno. Nonostante gli importanti impegni professionali, Tranquillo fu una persona sempre umile, disponibile, volenterosa e pronta all’ascolto.
Era nato a Comune Stradella, una piccolissima località bardigiana, nel dicembre 1933, da una famiglia di contadini poverissimi. Nel corso della sua gioventù, emigrò più volte: a Roma e, poi, in Svizzera. Nel 1956, sposò la sua adorata Anna; dalla loro unione, un anno dopo, nacqua Graziella, la loro unica figlia.
Nel 1960, Pantrini trovò lavoro all’ambasciata dell’Iran a Ginevra: proprio qui, divenne autista dello scià, della famiglia e, all’occorrenza, dei loro ospiti. Nel 1965, Tranquillo vinse il concorso del ministero degli Esteri e iniziò dunque la sua lunga carriera nei consolati: 10 anni a Ginevra, 6 anni a Perth (Australia Occidentale), 8 anni a Francoforte, due anni a Roma al ministero poi altri 5 anni in Australia, ad Adelaide. Chiuse in bellezza la carriera a Lille, in Francia, nel 1995-97.
Svestiti i panni eleganti che i suoi ruoli gli imponevano, «l’ambasciatore» amava dedicarsi alla sua grande passione, quella per le bocce. Decine furono i trofei conquistati dall’abile sportivo in molteplici Paesi del mondo. Tra i suoi ricordi più belli, Pantrini amava raccontare un successo del gioco a bocce: quando la sua squadra arrivò seconda nel campionato di petanque ed ebbe accesso, così, ai Mondiali.
L’emozione più forte fu per lui la conseguente sfilata ai campionati del mondo, dinnanzi al principe del Belgio. Ma Tranquillo non fu solo amante delle bocce: era legatissimo anche al Val Noveglia, dove fece ritorno una volta raggiunta la pensione, un filo indistruttibile mai reciso neppure nelle lunghe trasferte all'estero.
I funerali di Tranquillo Pantrini si terranno oggi alle 10,30 a Comune, frazione di Bardi, a un paio di chilometri da Noveglia.
Erika Martorana





Ermenegildo Sbuttoni (Gildu di Cupéi)

Notizie sulla vita di Gildo,
tratte da una pubblicazione autobiografica,
data alle stampe nel 1969,
intitolata
"Ermenegildo Sbuttoni - Contadino".

Viene presentato anche, in modo colorito,
il rapporto con don Squeri
(i nostri "Peppone e don Camillo").
Non mancano ricche notizie
sulla vita a Gravago
nella prima metà del sec. XX.

Ringraziamo Meri Luciano
e "Il Cammino Valceno"
per averci inviato fotocopia del testo

PUOI LEGGERE IL LIBRETTO (13 pp.)
in due formati:

PUOI ANCHE
SCARICARE IL LIBRETTO
sul tuo PC o sul mobile...







Dorino Civetta

Articolo pubblicato
da Giuseppe Beppe Conti


31 ottobre 2020



Commozione per la scomparsa dell'85enne
sostenitore generosissimo della Valceno



BARDI - Grande commozione, in tutta la Valceno, per la scomparsa dell'italo-americano Dorino Civetta. In memoria dell'85enne, la comunità della Val Noveglia ha voluto rendergli omaggio attraverso una sentita messa, che ha avuto luogo presso la Pieve di Gravago.
Dorino, volto noto del territorio bardigiano in cui era nato e dove aveva vissuto fino alla maggiore età, Subito era poi emigrato nel continente americano, non dimenticando mai, comunque, le sue bellissime montagne. Proprio qui amava, infatti, far ritorno ogni estate, insieme alla sua famiglia e, in particolare, all'adorata moglie Anna. Insieme a lei e a tanti altri emigranti legatissimi alla propria terra d'origine, aveva contribuito alla del valoroso gruppo denominato The Bardi-Valceno Community of New York, ad oggi ancora attivo e sempre pronto a supportare attraverso importanti fondi le numerose esigenze  del territorio bardigiano.
La comunità Bardi-Val Ceno di New York è, dunque, una preziosa organizzazione nata con lo scopo di arricchire e supportare il territorio di Bardi e della Valceno attraverso donazioni, galà, serate di ballo e tanto altro ancora. Il gruppo di emigranti benefattori si è dedicato, negli ultimi anni, al restauro della chiesa di San Michele, più comunemente conosciuta come la Chiesa di Monastero; ha supportato, inoltre, tra le altre cose, la realizzazione della nuova baita di Noveglia, la scuola materna Cardinale Antonio Samoré e l'Assistenza Pubblica Croce Blu Bardi, mostrando grande presenza anche  nel lockdown della scorsa primavera, in cui il gruppo si è impegnato nell'acquisto e nella consegna di migliaia di mascherine sia in Val Ceno che in Valtaro. Importanti cause in nome della beneficenza e dell'amore infinito per questo territorio, che vedeva in Dorino un fedele rappresentante che mai verrà dimenticato. «L'ASD Val Noveglia e la comunità di Gravago -ha detto il presidente dell'associazione Fabrizio Costa- partecipano al dolore della famiglia Civetta e del comitato Bardi-Valceno di New York per la perdita dell'amico e grande benefattore Dorino Civetta".
(ERIKA MARTORANA)





Domenico Zazzera



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Nella sezione del sito "Gravago-Libri"
PUBBLICHIAMO IL
DIARIO
di Domenico Zazzera, 1943,
(in cui si parla anche della battaglia di Osacca)
edito da Il Cammino Val Ceno





Resteghini Lazzaro (+ 1896)

Resteghini Lazzaro,
soldato di Gravago,
morto ad Adua...

Articolo pubblicato
da Giuseppe Beppe Conti












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